IL MAESTRO
Marco Alessandro Massimo Lanzarotto
La prima cosa che dico alle persone che vengono nella mia palestra a chiedere
informazioni sul karate per loro o per i loro bambini è che il karate, appunto,
NON è uno sport bensì un’Arte Marziale.
La differenza tra una qualunque attività sportiva, quali possono essere il calcio,
la pallavolo, il basket e via dicendo e la pratica di un’Arte Marziale sta nel fatto
che mentre negli sport tutto è proteso
alla finalizzazione del gesto tecnico,
nell’Arte Marziale ogni gesto tecnico è invece proteso
alla ricerca ed al perfezionamento di se stessi.
IL MAESTRO Marco Alessandro Massimo Lanzarotto
La prima cosa che dico alle persone che vengono nella mia palestra a chiedere
informazioni sul karate per loro o per i loro bambini è che il karate, appunto,
NON è uno sport bensì un’Arte Marziale.
La differenza tra una qualunque attività sportiva, quali possono essere il calcio,
la pallavolo, il basket e via dicendo, e la pratica di un’Arte Marziale sta nel fatto
che mentre negli sport tutto è proteso alla finalizzazione del gesto tecnico,
nell’Arte Marziale ogni gesto tecnico è invece proteso
alla ricerca ed al perfezionamento di se stessi.
il Pensiero del Maestro
L'Arte Marziale come scelta di vita...
La prima cosa che dico alle persone che vengono nella mia palestra a chiedere informazioni sul karate per loro o per i loro bambini è che il karate, appunto, NON è uno sport bensì un’Arte Marziale.
La differenza tra una qualunque attività sportiva, quali possono essere il calcio, la pallavolo, il basket e via dicendo e la pratica di un’Arte Marziale sta nel fatto che mentre negli sport tutto è proteso alla finalizzazione del gesto tecnico, nell’Arte Marziale ogni gesto tecnico è invece proteso
alla ricerca ed al perfezionamento di se stessi.
“L’Arte Marziale è il mezzo per portare alla luce ed affinare ciò che di buono percepiamo in noi stessi, fungendo così d’esempio e da guida per gli altri”.
(Marco Alessandro Massimo Lanzarotto).
Questo il concetto da me pensato e messo nero su bianco per condensare in poche parole quello che ha rappresentato e rappresenta per me seguire la via (do) del karate.
All’interno del nostro libretto di palestra che viene consegnato ad ogni allievo, figura infatti questa frase da me scritta insieme a quelle del maestro Gichin Funakoshi:
“Il karate è un metodo per migliorare il carattere, per apprendere la lealtà, per rafforzare la volontà interiore, per imparare il rispetto universale ed acquisire l’autocontrollo”
e del mio maestro, che tutto mi ha insegnato sul karate, Sergio Bongiovanni:
“Il karate riunisce nell’attività fisica aspetti di disciplina e autocontrollo, importanti anche come punto di riferimento nella società moderna”.
Io ho iniziato a fare karate nel 1978 all’età di 9 anni, avviato da mio padre che mi iscrisse al Centro Studio Karate Shotokan di Verona per rafforzarmi fisicamente visto che ero un bambino gracile, dovuto al fatto che da piccolo avevo dovuto per lungo tempo far i conti con vari problemi di salute.
Immaginate quindi un bambino deboluccio, sotto tutti gli aspetti, che si trova in una palestra di Arti Marziali ad iniziare alla fine degli anni 70… quando l’Arte Marziale era insegnata in maniera estremamente dura sia dal punto di vista fisico che psicologico.
All’inizio mi chiedevo se non fossero tutti pazzi…
Ho ancora in mente qualche frammento della mia prima lezione, legato appunto al fatto che osservavo questi “esaltati” che si dimenavano e urlavano in continuazione…
Sappiamo bene che il karate di allora non è certo il karate di oggi…
Se io, nel mio dojo, usassi oggi i metodi che venivano usati allora, probabilmente mi prenderei una denuncia al giorno…
Ecco, lì nel 1978, è cominciato il mio percorso, lì ho intrapreso il “do” dell’Arte Marziale, percorso che ha accompagnato in tutti gli aspetti la mia vita fino ad ora e che l’accompagnerà fino alla fine dei miei giorni.
Dopo tanti anni trascorsi nel dojo, anni che hanno visto le varie fasi della mia vita passando dall’essere prima un bambino, poi un ragazzo ed infine un uomo, quello che ho capito dell’Arte Marziale è che una parte fondamentale del “do” (la via), sta proprio nell’insegnamento cioè nel dedicare la propria vita al prossimo, al fine d’aiutarlo a trovare se stesso.
Non è certo un mistero che Arti Marziali, Pensiero Buddista e Zen abbiano vari punti in comune…
Il dojo “sano” e quindi non puramente commerciale, è il dojo all’interno del quale il Maestro mette tutte le sue forze per cercare di far “crescere” gli allievi più in difficoltà.
Quante volte ci è capitato di avere di fronte bambini che inizialmente ed apparentemente non riescono ad esprimere quasi nessuna attitudine o capacità?
Quante volte ci si è trovati di fronte a bambini chiusi in loro stessi in compagnia dei loro enormi (per la loro età) problemi esistenziali?
Problemi che, se non si creano le opportune difese caratteriali, si porteranno dietro per tutta la vita con il rischio che il loro peso blocchi in parte la loro crescita interiore?
Bambini con genitori separati, bambini con famiglie unite all’apparenza ma in realtà famiglie difficili, bambini adottivi, bambini cui manca uno dei due genitori e quindi una delle potenziali figure di riferimento nella vita o semplicemente bambini che per loro natura tendono a chiudersi in se stessi di fronte ad un mondo esterno che non capiscono e che a sua volta non fa quasi nulla per capirli…
(perché questa è la realtà in un mondo dove vige la legge del più forte, della sopraffazione del più debole al fine di “farsi una posizione”, d’essere sempre “sopra agli altri”, una società votata al materialismo e all’arrivismo più che alla comprensione e alla compassione).
Ecco, qui in questi casi viene fuori il vero Maestro.
Viene fuori quella che dovrebbe essere la vera e forse unica funzione del Maestro: aiutare questi bambini a credere in loro stessi, aiutarli a cercare dentro di loro la forza che da qualche parte hanno, pur se nascosta in qualche recesso di loro stessi.
Aiutarli a trovare questa fiammella di forza per poi, momento dopo momento, aiutarli a farla crescere dentro di loro.
Ho sempre considerato un buon Maestro come un “medico del carattere”.
Cosa fa un medico degno d’essere chiamato tale: si prende cura dei suoi pazienti…
C’è una storiellina zen in cui dopo svariate volte che un aspirante allievo faceva un lungo viaggio per andare da un grande Maestro Zen, sempre e solo per chiedergli cosa fosse lo Zen, per chiedergli quindi una definizione esaustiva e definitiva dello Zen stesso (sappiamo che lo Zen non è definibile per natura; ogni nostro gesto od azione può essere o non essere Zen), il Maestro un giorno gli chiese: “cosa fai nella vita?”, l’aspirante allievo rispose: “il medico”, il Maestro allora disse: “Va e prenditi cura dei tuoi pazienti”, fu allora che la persona capì cosa fosse il vero significato dello Zen…
Il tutto deve essere volto all’amore e alla cura verso il prossimo…
In ogni dojo ci sono bambini molto dotati che imparano in fretta e che poi sia nelle gare che negli esami ottengono brillanti risultati.
La domanda è: cosa ci vuole ad insegnare a questi bambini?
Questi stessi bambini non sarebbero bravi anche in qualunque altro dojo, non otterrebbero anche li ottimi risultati?
Ovvio che si…
Il vero Maestro è quello che riesce a far crescere i bambini “nascosti”, quelli che all’inizio sbagliano tutto e che non trasmettono nessun segnale di forza interiore.
La mia più grande soddisfazione come Maestro è appunto quella di veder fiorire caratteri e personalità di bambini che internamente partono da zero e che poi, scalino dopo scalino riescono ad uscire dal sottoscala psicologico in cui si sono rintanati, quasi sempre per sentirsi più protetti...
La stessa preparazione alle gare, cui sempre il mio dojo partecipa, non è finalizzato al mero risultato della conquista della medaglia, bensì ad utilizzare un mezzo in più per creare autostima e forza nei ragazzi.
Fra tutte le medaglie giovanili vinte dai miei piccoli allievi in tutti questi miei anni da Maestro
(dal 2003), tantissime sono state le medaglie conquistate da bambini che all’inizio del loro percorso in palestra non avevano, all’apparenza, non solo le qualità caratteriali per vincere una medaglia ma nemmeno la forza per poter prima o poi controllare le ansie, le paure e le emozioni derivanti anche solo dall’affrontare una gara…
Bambini che mai avresti detto che un giorno sarebbero entrati in un palazzetto dello sport per mettersi in gioco…dovendo per prima cosa sconfiggere le loro stesse paure e le loro insicurezze.
Qui, però, il Maestro ha una grande e greve responsabilità: non si deve MAI mandare un bambino ad una gara se il bambino non è pronto tecnicamente e per farla.
La sicurezza interiore, in questi casi, deriva ed aumenta proprio grazie alla consapevolezza che si è ben preparati su quel che dobbiamo fare…
Troppo spesso si vedono palestre che mandano bambini totalmente impreparati che poi ovviamente si bloccano sul tatami di gara.
A volte si vedono addirittura insegnati che mimano i gesti da fuori (in alcuni casi anche dentro…) il tatami affinché i bambini riescano, copiando, ad arrivare in qualche modo in fondo al kata che stanno eseguendo…
Se un bambino, già insicuro di suo, viene mandato allo sbaraglio tanto per “fare numero”, (cioè per far partecipare molti allievi della propria palestra alla gara), allora questo diventa un bambino mandato psicologicamente al macello.
Ricordo di una gara in cui un bambino, al 1° turno, si fermò piangendo disperato dopo solo un paio di movimenti (era evidentissimo che non gli era stato insegnato quasi nulla e che il suo insegnante non aveva tenuto conto del suo stato emotivo).
Come sappiamo, tutti gli avversari che vengono battuti dai due allievi che riescono a giungere in finale, vengono poi ripescati per i turni per la conquista del 3° gradino del podio.
Questo bambino ebbe, quindi, anche la sfortuna di venire ripescato…
Per cui, dopo aver patito psicologicamente il fatto d’essersi fermato piangendo nel primo incontro dopo un paio di movimenti, nel turno di ripescaggio nemmeno partì con l’esecuzione del kata mettendosi a piangere subito, il tutto:
- su di un tatami di gara
- all’interno di un palazzetto dello sport pieno di gente che guardava
- mentre l’avversario eseguiva bene il suo kata vincendo poi ovviamente l’incontro…
Ecco io questo lo considero far del male ai bambini.
La gara deve essere “un mezzo”, non “un fine”.
Taiji Kase, il famoso Maestro giapponese diceva: “Agonismo è solo un punto della superficie del cerchio” …
Personalmente i miei 20 anni di gare di combattimento mi sono serviti per far scaturire, affinare e consolidare la mia personale forza di carattere.
Il medesimo obbiettivo deve essere il faro di noi Maestri quando mandiamo un bambino ad una gara.
MARZIALITÁ
Un altro aspetto fondamentale per proseguire nel “do” consiste nel fatto di non abbandonare mai l’aspetto marziale.
Il dojo DEVE essere marziale, quindi chi vi insegna deve essere marziale oltre che nel dojo stesso, nella propria vita di tutti i giorni.
Se si perde per strada la marzialità, allora il karate diventa solo una pratica sportiva il che equivale a tradire il concetto portante di ciò che si è intrapreso.
Peggio ancora si tradisce il messaggio e l’intento, chiaro e profondo, degli antichi Maestri che hanno divulgato le Arti Marziali nel mondo.
Troppo spesso sento parlare di attività sportiva e, come ho già ben spiegato nelle prime righe, il karate non è uno sport bensì un’Arte Marziale.
Ogni dojo deve avere al suo interno delle regole ben precise (a cominciare ad esempio dalla puntualità, fattore oramai in via d’estinzione…) cui tutti devono sottostare.
Ovvio che perché questo accada, il Maestro non deve avere uno spirito “commerciale”.
Il Sensei (Maestro) è colui che traccia la strada che poi gli allievi devono cercare di seguire, pertanto se c’è quindi un aspetto che deve cadere in secondo piano è proprio l’aspetto commerciale.
La “quota” deve essere solo la conseguenza naturale dell’insegnamento, non lo scopo.
Spesso la gente pensa che il solo fatto che paghino una quota, dia loro il diritto di comportarsi a loro piacimento, oppure il diritto di non vedere i propri figli o loro stessi bocciati all’esame di cintura...
Un dojo serio fa subito capire alle persone che lo frequentano che l’unica cosa che conta è seguire le direttive del Maestro e di farlo con tutta l’umiltà necessaria.
Il Maestro poi deve essere capace di preservare il gruppo “sano” di allievi allontanando le persone che si dimostrano negative, a causa soprattutto di un ego smisurato che nulla ha a che vedere con l’umiltà che occorre per praticare.
“Un albero è sano se si tagliano i rami secchi”.
A questa massima ispiro la mia politica all’interno del mio dojo.
Ovviamente però per essere credibile e quindi seguito, il Maestro deve essere marziale innanzitutto verso sé stesso e deve sempre lanciare messaggi comportamentali (un buon esempio funziona sempre meglio di mille parole…) coerenti con quello che pretende poi dagli allievi.
Ogni insegnante che ha a che fare con la crescita dei bambini, che sia il maestro di scuola o di karate, ha sulle sue spalle un’enorme responsabilità.
I bambini che cresciamo oggi, saranno gli uomini e le donne del futuro e noi insegnanti abbiamo il dovere di dar loro il buon esempio e di prenderci cura della loro crescita comportamentale e caratteriale.
Uno degli aspetti principali perché ciò avvenga è che i bambini vedano che nulla gli viene regalato ma tutto viene conquistato con l’impegno, quindi, per quel che concerne gli esami di cintura, i bambini (come gli adulti ovviamente) devono ricevere l’insegnamento secondo il quale i meritevoli saranno promossi mentre verranno bocciati quelli che non si sono impegnati in modo sufficiente in base alle loro capacità.
(Sottolineo: in base alle loro capacità…)
Ovviamente bocciare significa il più delle volte perdere poi l’allievo, (quasi sempre per la frustrazione dei genitori che non accettano una “bocciatura” per il proprio figlio perché si sentono “bocciati” anch’essi…), quindi si torna al concetto dell’albero sano: si da il giusto esempio che si deve dare e si preserva e difende così il gruppo di allievi volenterosi ed umili che cercano d’ascoltare e seguire gli insegnamenti che vengono loro dati.
Così facendo si crea “un’aria” nel dojo che accomuna tutti e che viene avvertita e “respirata” subito dai nuovi allievi fin dalle prime lezioni, fungendo così da immediato deterrente per quelle tipologie di persone (in questo caso succede più con gli adulti) che pensano di iscriversi ad un corso di karate senza avere nulla a che fare con i concetti di rispetto ed umiltà che devono essere le colonne portanti di qualunque dojo serio.
Leggendo queste righe si può pensare che per ottenere tutto questo dagli allievi si debba instaurare un clima molto rigido basato su una costante durezza di fondo, il mezzo invece è l’esatto contrario: tutto è basato sul rispetto reciproco e sulla gentilezza e, quasi sempre, sulla simpatia.
Rispetto e gentilezza che fanno però costantemente intravvedere un atteggiamento marziale forte e continuo.
Il saluto iniziale e finale (la parte più importante e significativa dell’ora di lezione) incarna di per sé tutti i concetti di rispetto e gentilezza che i Maestri di Arti Marziali devono insegnare e trasmettere ai propri allievi.
Il rispetto imparato nel dojo va poi coltivato nella vita di tutti i giorni.
KATA e KUMITE
Un’altra questione che mi sta molto a cuore è quella relativa all’insegnamento, in egual modo, sia del kata (forma) che del kumite (combattimento).
Il kata rappresenta la tradizione.
I kata ci sono stati tramandati negli anni da Maestro in Maestro, fino ad arrivare a noi.
Quelli sono e quelli devono rimanere, senza che subiscano alcuna forma di “restauro” o “commercializzazione”.
I kata, poi, rappresentano la maturazione dell’allievo che, con il passare degli anni, comincia a scorgere i segreti racchiusi al loro interno.
“Il kata rappresenta l’aspetto più introspettivo e profondo del karate: coniuga infatti l’aspetto tecnico (quindi lo sviluppo di tutte le tecniche di parata ed offesa) con l’aspetto mentale, basato sulla concentrazione e sulla ricerca perenne della perfezione dei movimenti, al fine della ricerca e del consolidamento della perfezione interiore”.
Marco Alessandro Massimo Lanzarotto
Il kumite, poi, rappresenta concettualmente il motivo per cui le Arti Marziali ed il karate stesso sono nati.
Sappiamo che il karate, ad esempio, nacque sull’isola di Okinawa quando il re Sho Hashi, dopo aver unificato i 3 regni dell’isola, proibì alla popolazione di possedere qualunque tipo di arma.
Fu per questo motivo che si sviluppò una forma di combattimento per potersi difendere a mani nude.
Anche se sappiamo bene che il kumite agonistico utilizza i colpi in realtà meno pericolosi, (di certo, ad esempio, non si possono in un combattimento utilizzare tecniche d’offesa a mano aperta o di gomito che potrebbero risultare letali), portati tra l’altro con il massimo e dovuto controllo, il kumite ci insegna a combattere e quindi a difenderci.
Come sappiamo nessun kata shotokan inizia con un attacco, questo perché le Arti Marziali nascono concettualmente come difesa, non come attacco.
Sottolineo, concettualmente.
Ovvio che in una situazione critica posso trovarmi di fronte alla necessità d’attaccare ma la stessa situazione critica in cui mi trovo determina il fatto che in realtà mi sto difendendo…
I kata racchiudono però tutte le tecniche, anche le più letali del karate.
Tecniche che se approfondite bene nell’allenamento ci fanno acquisire i mezzi per poterci difendere adeguatamente.
Significativo, in tal merito, il fatto che il significato degli ideogrammi della parola Heian sia “Pace e Tranquillità” …
Tranquillità che deriva dal fatto che se un allievo studiasse ed allenasse a fondo tutte le tecniche racchiuse nei 5 kata Heian, raggiungerebbe una pace interiore derivante dalla consapevolezza di potersi difendere da qualunque avversario.
Tutta questa lunga premessa per sottolineare, con forza, che l’insegnamento sia del kata che del kumite DEVE essere fatto in egual misura e di pari passo, essendo queste due componenti del karate due facce della medesima medaglia, legate indissolubilmente l’una all’altra.
Troppo spesso sento parlare di doji ove si studia e si pratica solo una di queste due componenti.
Questo perché si tradisce il concetto Marziale per adottare una mera politica sportiva, allenando gli allievi solo in una specialità (quella nella quale sono più portati) al fine di farli primeggiare nelle competizioni sportive…
La vera palestra di karate è invece quella dove il Maestro insegna ai propri allievi sia il kata che il kumite.
Il mio Maestro mi diceva spesso che se un karateka, dopo tanti anni di allenamento, non ha imparato a difendersi, allora ha fatto karate per nulla.
Concludendo questa piccola tesina, considero l’Arte Marziale un mezzo per rafforzare dapprima sé stessi per poi trovare la strada (in realtà le molteplici strade) per rafforzare caratterialmente e psicologicamente gli allievi cui si insegnerà.
Trasmettendo loro, con il costante esempio, tutta una serie di principi ed usando come “mezzi” il continuo insegnamento e perfezionamento sia del kata che del kumite.
Il Maestro, poi, cresce man mano con i suoi allievi.
Nel percorso del Maestro, gli allievi stessi sono costantemente i suoi Maestri…
Nelle difficoltà, nelle insicurezze e nelle paure nascoste che scorgiamo nei nostri allievi (piccoli e grandi), riconosciamo le stesse difficoltà, insicurezze e paure che abbiamo dominato in noi stessi o che ancora stiamo lottando per dominare.
L’inchino finale dopo una lezione, non è mai solo quello degli allievi nei confronti del Maestro… bensì anche quello del Maestro nei confronti degli allievi… che li ringrazia per averlo aiutato nella propria crescita personale…
Oss.
Marco Alessandro Massimo Lanzarotto.